Negoziare non è un "gioco" da ragazzi

Negoziare non è un "gioco" da ragazzi

Coltivare l'arte della negoziazione nella società della complessità

La negoziazione è molto più diffusa nella nostra società di quanto si possa immaginare: nella sua essenza di attività relazionale fa parte della civiltà umana sin dai suoi albori e, come strumento irrinunciabile di interazione, investe la vita quotidiana di ognuno di noi, applicandosi a una molteplicità sterminata di situazioni che coinvolgono tanto la vita privata quanto la sfera professionale. 

Il termine "negoziazione" deriva dalla parola latina negotium, affare, negozio, occupazione, e si contrappone all'otium, ovvero l'inattività, l'agio, il tempo libero. Rispetto alla sua etimologia originaria, oggi questa espressione viene impiegata con un'accezione molto più ristretta e specifica. Se, infatti, non tutti i processi interpersonali corrispondono a una negoziazione, esistono dei requisiti precisi per poter definire una situazione come negoziale. Prima di addentrarci nell'analisi di questi fattori, è importante ricordare che, in una società sempre più complessa come quella attuale, le occasioni negoziali si sono moltiplicate ed oggi la negoziozione è annoverata tra le capacità strategiche essenziali per ogni buon manager e imprenditore. 

La negoziazione è un'arte e in quanto tale si può imparare, esercitare con metodo e migliorare attraverso la pratica, esplorando possibili soluzioni per prevenire o superare situazioni di conflitto, divergenza o di impasse. Oggetto di innumerevoli studi e ricerche, sono molteplici le discipline che si sono occupate di definire la natura della negoziazione: dalla psicologia alla sociologia, dalle scienze politiche alla filosofia, dalla teoria dei giochi all'antropologia, dall'economia alla teoria dell'azione. 

Il metodo negoziale: tra manovre tattiche, visione strategica e creatività

Il matematico statunitense John F. Nash, premio Nobel per l'Economia nel 1994, definì la negoziazione come "relazione in cui le parti riceverebbero un vantaggio dalla cooperazione, ma sono in conflitto sul modo in cui suddividere i vantaggi".

Alla luce di queste parole, è importante innanzitutto sfatare il luogo comune secondo cui negoziare equivale a condurre una trattativa. Non è così: il negoziato rappresenta, infatti, solo uno dei molteplici processi decisionali con cui si può arrivare ad un accordo con la controparte. Esistono, però, anche altri metodi utilizzati per condurre una trattativa, che possono basarsi - ad esempio - sulla coercizione,  sulla persuasione, sul compromesso o sulla concessione. 

Detto ciò, il punto di partenza per poter definire una situazione come negoziale è la presenza di un disaccordo, di un conflitto, tra i soggetti coinvolti, che hanno interessi, obiettivi - talvolta anche valori - diversi tra loro. Il secondo fattore necessario è la sussistenza di una relazione di interdipendenza tra le parti in gioco: ognuno dei soggetti coinvolti può conseguire il proprio fine/interesse solo attraverso la cooperazione e lo scambio reciproco di risorse. Questa seconda condizione - strettamente collegata al concetto di reciprocità - è la più difficile solitamente da accettare e da comprendere per chi siede al tavolo delle trattative: l'idea di dipendere dalla controparte e, allo stesso tempo, esercitare un'influenza su di essa crea un cortocircuito nella nostra mente, per cui tendiamo a considerare la trattativa in termini dualistici "io vinco e tu perdi", invece che nell'ottica di mutuo guadagno. Prospettiva alimentata dal fatto che il processo negoziale implica sempre un rapporto di forza: se, da un lato, nessuna delle due parti è infatti in grado di imporre la propria soluzione - altrimenti non avrebbe senso nemmeno aprire un negoziato -, dall'altro nel corso della trattativa questo rapporto di forza è destinato ad oscillare continuamente, a favore di una parte e poi dell'altra in un susseguirsi di mosse e contromosse, salti in avanti, battute d'arresto e concessioni.

Riprendendo il linguaggio della teoria dei giochi, si parla di "giochi a somma zero" ("uno vince e l'altro perde") quando gli interessi delle parti sono diametralmente opposti, inconciliabili e, pertanto, risulta impossibile dar luogo a una negoziazione che possa produrre una soluzione soddisfacente per entrambe. In questi casi solitamente c'è solo una posta in palio e il gioco negoziale ha una struttura distributiva: ovvero, ricorrendo alla classica immagine della torta, il conflitto si sviluppa intorno alle modalità di distribuzione di quest'unica posta ("gioco a posta singola"). Ciò significa che tutte le azioni messe in campo nel corso della contrattazione hanno un solo scopo: accapparrarsi il pezzo più grande della torta a discapito della controparte. 

Quando, invece, gli interessi delle parti sono complementari, si tratta di "giochi a somma diversa da zero" in cui la relazione negoziale ha una struttura integrativa che prevede la possibilità di "vincere insieme". Ciò si verifica quando esistono più poste in gioco, rispetto alle quali le parti coinvolte dimostrano diversi gradi di interesse. In questi casi è possibile, cooperando con la controparte e identificando ulteriori opportunità vantaggiose per entrambi, negoziare un accordo che soddisfi tutti i soggetti al tavolo della trattavia. In altre parole: ciò significa "allargare la torta" prima di procedere alla sua divisione in fette. 

I negoziatori più abili ed esperti fanno esattamente questo: si cimentano nella ricerca e nella valutazione creativa di tutte le possibili soluzioni del gioco che possano condurre ad accordi che massimizzano il valore per entrambi, invece che scendere a compromessi che, di fatto, fanno sì che almeno un parte di questo valore non venga utilizzato e vada, dunque, sprecato. 

Nella fase preparatoria - che precede la trattativa vera e propria - un buon negoziatore non si limita a studiare ed analizzare nel dettaglio la controparte, ma amplia il suo sguardo a tutti i soggetti che in qualche modo possono influenzare l'accordo o esserne influenzati. Si tratta di un approccio strategico che  permette di capire realmente la forza contrattuale di cui si dispone e talvolta può riservare delle vere e proprio sorprese. Non sono rari i casi, infatti, in cui PMI e start-up, convinte di dover affrontare una trattativa in una posizione di svantaggio rispetto alla controparte - magari una multinazionale -, hanno scoperto di avere un potere contrattuale assai maggiore alla luce dei potenziali effetti della trattativa su altri portatori di interesse non presenti al tavolo negoziale.  

Nella maggior parte dei casi, invece, chi si siede al tavolo delle trattative rimane imprigionato in un approccio a somma zero, in cui si prende in considerazione un numero limitato di alternative e si ritiene che la decisione migliore - soprattutto per accordi complessi - sia quella di trovare un compromesso, una soluzione a metà strada per garantirsi il più in fretta possibile una fetta di torta, scongiurando così il rischio di restare a mani vuote. In questo modo, però, si rinuncia in partenza ad ottenere il risultato massimo dalla trattativa, accontentandosi di un "accordo a metà".

Al contrario, un approccio negoziale strategico e ben ragionato presuppone di approcciarsi alla trattativa in un'ottica di "problem solving" e di dialogare costruttivamente con la controparte. Questo si traduce nella ricerca e nell'analisi - ben prima che inizi la trattativa vera e propria - di tutte le informazioni possibili sulle poste in gioco, sui vari soggetti coinvolti e sulle loro rispettive preferenze, bisogni, aspettative e vincoli. Più la posta in gioco è alta, più appare necessario dotarsi di un quadro strategico generale che permetta di andare al di là delle posizioni espresse dagli interlocutori al tavole negoziale, facendo chiarezza e concentrandosi, invece, sugli interessi e sulle reali necessità che sottointendono alle mosse della controparte. Rinunciando all'adozione di tattiche di pressione e misure preventive basate sulla paura delle intenzioni dell'interlocutore, il negoziatore strategico è in grado di ampliare il campo d'azione della contrattazione, individuando opportunità inesplorate e inediti punti di contatto, in modo tale da aumentare significativamente le probabilità di poter influenzare l'esito dell'accordo e ottenere risultati più soddisfacenti. 

Il ruolo elle emozioni al tavolo negoziale

Uno degli errori più comuni che commettono i negoziatori è quello di focalizzarsi eccessivamente sulla strategie e sulle manovre tattiche e non abbastanza sul ruolo delle emozioni. 

Se, nell'immaginario collettivo, un buon negoziatore dovrebbe avere sangue freddo ed essere in grado di non mostrare i propri sentimenti all'interlocutore, nella realtà dei fatti ai tavoli negoziali le cose vanno assai diversamente. Come ampiamente dimostrato da numerosi studi condotti sul tema a partire dai primi anni Duemila, i sentimenti (ad esempio l'ira, l'ansia, la delusione, l'eccitazione, etc.) rivestono un ruolo chiave nel corso della contrattazione, influenzando il comportamento e le scelte degli interlocutori fino a incidere in modo significativo sull'esito della trattativa. 

Pensiamo, per esempio, all'ira: i negoziatori, spesso, si adirano deliberatamente nel corso delle contrattazioni, mossi dalla convinzione che mostrarsi in collera possa aiutare ad apparire in una posizione di forza, spingendo la contraparte a cedere una fetta più grande di torta nel timore di un mancato accordo. Un atteggiamento dettato da un approccio meramente competitivo che vede la negoziazione nell'ottica di "un gioco a somma zero". Tuttavia, un comportamento del genere può rivelarsi controproducente e ritorcersi contro chi lo mette in atto, suscitando l'ostilità della contraparte che sarà più propensa ad abbondare il tavolo della trattativa o a danneggiare l'interlocutore alla prima occasione utile. 

Questo esempio legato al sentimento dell'ira mostra chiaramente come la valutazione del coinvolgimento emotivo sia un aspetto centrale per lo sviluppo di una strategia negoziale efficace. Si tratta di una consapevolezza importante, che diventa cruciale, soprattutto quando la trattativa si svolge in un clima di incertezza e di particolare complessità. 

Un altro sentimento molto comune ai tavoli negoziali è l'ansia: un'emozione che può essere molto dannosa, provocando - ad esempio - uno stallo o l'abbondono prematuro delle trattative o, in altri casi, accelerando la contrattazione a causa del timore di non riuscire a gestire la situazione, con il risultato di arrivare ad un accordo insoddisfacente per una o entrambe le parti. Accelerare o rallentare le trattative non è solo un effetto collaterale dell'ansia, ma può anche essere il risultato di una precisa tattica di pressione sulla controparte. Anche in questo caso vale quanto detto per l'ira: prima di giocarsi questa carta, è importante valutare attentamente le possibili conseguenze e reazioni da parte di chi la subisce.

Questo significa che un buon negoziatore non solo è in grado di riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle altrui, ma anche ha la capacità di utilizzarle e indirizzarle a proprio vantaggio. In quest'ottica, chi siede al tavolo della trattativa deve cogliere tutto ciò che accade nella dinamica relazionale, dare il giusto peso alla componente non verbale della comunicazione e valutare correttamente gli atteggiamenti e i comportamenti della controparte. 

Per concludere: se prepararsi bene è fondamentale per negoziare con successo, questa preparazione non può prescindere da una strategia emotiva efficace. 

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