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L'intelligenza artificiale: la rivoluzione concettuale che sta cambiando il nostro modo di vivere

L'intelligenza artificiale: la rivoluzione concettuale che sta cambiando il nostro modo di vivere

Cultura e AI: leggere bene le istruzioni prima dell'uso - La cultura sta vivendo un periodo di grande incertezza e trasformazione ed è chiamata ad affrontare nuove ed inedite sfide, tra cui quella dell'intelligenza artificiale applicata al mondo dell'arte e alle sue istituzioni.

Che si sia di fronte ad una vera e propria rivoluzione, paragonabile in termini di impatto alla nascita della fotografia, non c'è alcun dubbio. Come spiega Maurizio Vanni, museologo, storico dell'arte e curatore di fama internazionale, in quest'intervista che ci ha gentilmente concesso.

Maurizio Vanni Museologo, Critico e Storico dell’arte, specialista in Sostenibilità, Valorizzazione e Gestione museale ed in Marketing non convenzionale per la cultura.

Attualmente lavora per il Ministero della Cultura - Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara (Sostenibilità, Valorizzazione e Gestione dei Beni Culturali e dei Musei), è docente di Museologia presso l'Università degli Studi di Pisa, Docente di Marketing non convenzionale alla Facoltà di Economia di Roma Tor Vergata nel Master “Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media”, Docente di Governance e gestione culturale presso il Conservatorio Luigi Boccherini di Lucca nel Master MaDAMM.

È Coordinatore dell'Osservatorio di Storia dell'Arte della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Città del Vaticano). È componente della Giuria Internazionale di Florence Biennale 2023. Fa parte del Consiglio Direttivo dell'Associazione Greenaccord onlus. Nel 2011 ha ricevuto la Medaglia di Rappresentanza del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano per la mostra “Carte rivelatrici. I tesori nascosti della Collezione Peggy Guggenheim”. Nell’ottobre 2013 è stato invitato al secondo convegno mondiale sulla museologia “Yeongwol International Museum Forum”. Nel settembre 2013 ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano per il progetto “It's Tissue. The Italian Technology Experience” (Impresa-Cultura-Territorio).

Ha curato più di 700 eventi, tra mostre e progetti legati alla museologia del presente, e ha tenuto corsi, seminari, convegni e lectio magistralis in sessanta musei e quaranta università di oltre trenta Paesi del mondo.

Prof. Vanni, prima di approfondire il tema e i diversi aspetti legati all'introduzione dell'intelligenza artificiale nel mondo della cultura e delle sue istituzioni, partirei con lo spiegare che cosa è l'Intelligenza Artificiale (AI).

Potremmo definire l'intelligenza artificiale come la capacità di un sistema tecnologico di risolvere problemi o svolgere compiti e attività tipici dell'intelletto dell'individuo. È un comparto dell'informatica che permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con ciò che percepisce e risolvere questioni agendo verso un obiettivo assegnato.

Una disciplina che si occupa di realizzare "macchine" che possono agire in autonomia, imitando la capacità dell'intelligenza umana attraverso lo sviluppo di algoritmi. La macchina riceve i dati, li processa e risponde. Di fatto, mostra capacità umane come il ragionamento, l'apprendimento, la pianificazione e l'imprevedibilità.

La Comunità Europea ha evidenziato il ruolo determinante dell'AI nella trasformazione digitale della società: impossibile immaginare qualunque contesto privato del suo utilizzo. Per l'U.E., infatti, l'AI è un punto centrale nel Green Deal (sostenibilità ambientale) e nel rilancio dell'economia nel post pandemia.

Quali sono, dunque, i principali rischi per la società, nel suo insieme, nel caso in cui non riuscisse a cogliere quest'opportunità? E, invece, quali sono i principali vantaggi derivanti da una sua corretta e consapevole applicazione?

I rischi legati al suo non utilizzo sono molteplici: dal ritardo nelle sfide legate alla crescita sostenibile; alla perdita del vantaggio competitivo economico in relazione ad altri Paesi; sino alla crescita di diffidenza e pregiudizio da parte delle persone nei confronti di questa innovazione.

Al contrario, i vantaggi, già testati, sono numerosi e toccano sempre più settori: dal mondo dell'healthcare all'industria manifatturiera, dai trasporti all'energia, dall'agricoltura fino ai servizi. Naturalmente non può esistere una macchina perfetta che non abbia punti deboli. I risultati elaborati dall'AI, infatti, pur essendo considerati attendibili e il più delle volte credibili, non possono essere presi per validi in senso assoluto. Le macchine non sono programmate per avere “buon senso” e tendono a offrire risposte oggettive e standard (ottime per i settori della scienza), ma artificiose e disconnesse da quello che potremmo definire quoziente emozionale del genere umano.

Da questo punto di vista risulta determinante il progettista dell'algoritmo e la capacità di processo dei dati immessi. Non è da escludere il pericolo di avere a che fare con contenuti falsi, seppur credibili: ovvero l'immissione in rete di video, foto e podcast infondati.

Come sempre nel rapporto tra uomo e tecnologia, tra homo sapiens, homo digitals e homo algorithmicus, è fondamentale non perdere il controllo sulla macchina, dato che l'AI può imparare in fretta dall'ambiente in cui opera e dalle informazioni che riceve.

Quali potrebbero essere le conseguenze di una perdita di controllo da parte dell'uomo sull'AI?

Se l'algoritmo non è ben strutturato e i dati non sono inseriti correttamente, l'AI può diventare sessista, razzista, classista o “violenta” a tal punto da mettere a rischio la sopravvivenza del genere umano. Servono precise regole per progettare l'AI e mitigare i rischi: elaborare in modo etico e responsabile per permettere di valutare, ed eventualmente correggere in corsa, gli effetti negativi a medio-lungo termine.

Un'etica che generi inclusione e partecipazione, uno strumento tecnologico che non sia considerato un fine a cui ambire, un idolo da cui dipendere, ma sia custode dell'umano e del suo benessere integrale. L'AI deve sempre essere sotto il controllo dell'individuo per operare entro i limiti imposti senza che decisioni prese in autonomia portino effetti collaterali indesiderati.

Ma se la macchina non può provare emozioni, la possiamo considerare comunque intelligente?

C'è una sua caratteristica che rende complessa la risposta a questa domanda: gli algoritmi dell'AI sono in grado di riconoscere e, indirettamente o direttamente, manipolare (a fin di bene o per profilarci e condizionarci a fare ciò che non vorremmo) le emozioni e gli stati cognitivi delle persone attraverso l'analisi delle espressioni del volto, dello sguardo, del sorriso o del tono della voce.

La macchina può fingere stati sensoriali (machine learning) per indurci a farsi “umanizzare” e far sì che intraprendiamo comportamenti precisi? Questa può essere considerata una forma di intelligenza? Possiamo provare a rispondere a queste domande analizzando il rapporto tra AI e la cultura, tra la creatività artificiale e quella umana.

Partendo dal presupposto che l'arte è uno strumento per comunicare pensieri, stati d'animo ed emozioni, come potremmo considerare le opere elaborate attraverso l'AI? Elaborati piatti e prevedibili che prendono dal passato tutte le informazioni rimaneggiandole in modo prevedibile, oppure l'unica vera opportunità di creare innovazione e proporre originalità nel panorama delle arti contemporanee?

Il pubblico generico, naturalmente, risponderebbe in modo differente e soggettivo. In generale, quasi tutta la storia dell'arte è stata caratterizzata da un'estetica imitativa che ha trovato nei più grandi artisti di ogni secolo il coraggio e l'intraprendenza per violare le convenzioni del passato creando inedite opportunità creative ed estetiche.

Solo in alcuni momenti storici, con artisti come Giotto, Leonardo, Caravaggio, Duchamp, Picasso e Warhol potremmo parlare di estetica rivoluzionaria con personaggi che hanno diviso la storia dell'arte in due, prima e dopo il loro passaggio.

Ma se l'AI dipende dagli algoritmi e dalle caratteristiche dei dati da processare, come potrebbe essere considerata più sorprendente dell'Artista Sapiens?

Prima di rispondere è corretto tenere in considerazione un fatto oggettivo: la prestigiosa casa d'asta londinese Christie's ha venduto nel 2018 un'opera realizzata dal collettivo francese Obvius a poco meno di 500.000 sterline.

Proviamo a intraprendere un percorso differente e cerchiamo risposte nell'imprevedibilità del pubblico generico che, comunque, tende a considerare “bello” un lavoro artistico che lo sorprende, lo stupisce e crea piacere e benessere psicofisico. Il piacere è un sentimento o un'esperienza particolarmente intensa, più o meno lunga, che corrisponde alla percezione di una “condizione positiva”, fisica o cerebrale, all'appagamento di un desiderio materiale o immateriale in grado di esaltare l'apparato sensoriale e l'amigdala (la centralina delle nostre emozioni).

Aristotele, nel libro Etica nicomachea, scriveva che “Il piacere è un'attività della disposizione che è secondo natura”. Concetto che origina il dinamismo espansivo del piacere che spinge le persone ad identificarsi con l'oggetto del proprio desiderio, o il contesto che sollecita i sensi, e ad annullarsi in esso. Pensiero che ritroviamo ne Il piacere di Gabriele D'Annunzio in cui il personaggio principale Andrea Sperelli, alter ego dello stesso scrittore, cerca costantemente piacere nelle avventure amorose, nel culto della bellezza e nelle opere d'arte. Almeno sulla carta, anche una composizione realizzata con l'AI potrebbe provocare gli stessi effetti, anzi perfino più sconvolgenti, se i pubblici a cui è indirizzato il lavoro sono già stati profilati.

Il 23 ottobre del 2018, Christie’s è stata la prima casa d’aste al mondo a vendere un’opera prodotta da un’Intelligenza Artificiale. Si tratta del "Ritratto di Edmond Belamy", quadro prodotto da un algoritmo generato dal collettivo francese Obvious ed è stato venduto a un prezzo che supera di oltre quaranta volte le stime fatte dalla casa d'aste.

È corretto, dunque, parlare di una vera e propria rivoluzione dell'AI nel campo delle arti visive?

La vera rivoluzione nell'introduzione dell'AI nelle arti visive potrebbe essere più concettuale che estetica o percettiva.

Dando per certo che ogni persona risponde in modo soggettivo alle sollecitazioni visive e sensoriali (anche nella stessa persona di fronte alla stessa opera a distanza di tempo), ciò che cambia in modo drastico è la valutazione critico-estetica che l'AI è in grado di fare quasi in tempo reale senza avvalersi di critici d'arte e di storici dell'arte (figure professionali che guidano, e in parte condizionano, il gusto del pubblico generico).

Una macchina che non può provare emozioni, ma può fingerle e che, se programmata per farlo, cerca di assecondare i desideri di gioia, piacere e felicità delle persone, può produrre elaborati considerabili alla stregua di opere d'arte? Sapere cosa ci rende felici e ottenerlo da una macchina potrebbe migliorare la nostra vita o renderla piatta, noiosa e prevedibile? Come scriveva Gotthold Ephraim Lessing, “L'attesa del piacere è essa stessa il piacere”.

A suo avviso, come dovrebbero essere giudicate le opere realizzate con l'AI?

Credo che, come nel caso degli NFT, anche i lavori creativi concepiti con l'AI, debbano essere giudicati assecondando un “pensiero critico” indipendente da quelli realizzati tradizionali (analogici).

Anche nel caso in cui gli algoritmi non vincolino in alcun modo la tipologia di selezione delle immagini del passato da cui ispirarsi, non potremmo considerarla una nuova estetica, ma tutt'al più un mondo visivo originale e parzialmente inedito, ma pur sempre digitale.

Come l'AI può supportare il mondo della cultura e delle sue istituzioni?

L'indispensabile aiuto che l'AI può apportare alla cultura è legato al mondo dei musei e degli archivi in genere per catalogare ed esplorare milioni di immagini e documenti, creando imprevedibili e improbabili associazioni semantiche.

L'AI è in grado di processare collezioni e raccolte di grandi musei per ideare nuove proposte curatoriali differenti da quelle convenzionali dei generi conosciuti. Nel contesto della “museologia del presente” che mette la persona al centro di ogni offerta culturale, la profilazione dei pubblici attraverso l'AI può dare un contributo essenziale nell'abbattimento delle barriere sociali (inclusione), nei principi legati alla crescita sostenibile e nella condivisione di esperienze creative sempre più soggettive.

Le produzioni artistiche dell'AI non devono essere valutate di per sé, ma collocate nel contesto dell'incredibile percorso che il digitale, fin dalla fine degli anni Settanta del Novecento, sta compiendo per integrarsi (non necessariamente per essere alternativa) nei mondi della cultura. Probabilmente a valutarle sarà il tempo, ma per il momento... leggere bene le istruzioni prima dell'uso.

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